LIBERTA' INDIVIDUALE - REATI - Cass. pen. Sez. V, 15-01-2018, n. 5358

LIBERTA' INDIVIDUALE - REATI - Cass. pen. Sez. V, 15-01-2018, n. 5358

Ai fini della configurabilità del delitto di violenza privata, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l'offeso della libertà di determinazione e di azione. Pertanto, anche la condotta di chi ostruisca volontariamente la sede stradale per impedire ad altri di manovrare nella stessa realizza l'elemento materiale del reato in questione. Sotto il profilo soggettivo, ai fini della configurazione del reato di violenza privata è sufficiente la coscienza e volontà di costringere taluno, con violenza o minaccia, a fare, tollerare od omettere qualcosa, senza che sia necessario il concorso di un fine particolare: il dolo è, pertanto, generico. Ne consegue che il fatto stesso di impedire ad altri automobilisti di transitare sulla strada pubblica, o di riprendere la marcia, integra l'elemento soggettivo del reato in questione.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PALLA Stefano - Presidente -

Dott. SCOTTI Umberto Luigi - Consigliere -

Dott. MORELLI F. - rel. Consigliere -

Dott. SETTEMBRE Antonio - Consigliere -

Dott. SCORDAMAGLIA Irene - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

C.L., nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 09/06/2015 della CORTE APPELLO di ANCONA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ANTONIO SETTEMBRE;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. PICARDI ANTONIETTA, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

Udita, per la parte civile, l'avv. CARNEVALI SABRINA, che si riporta agli scritti, contestualmente deposita conclusioni e nota spese.

l'avvocato MASSEI MARCO, si riporta agli scritti del ricorso.

l'avvocato RICCIONI, si riporta agli scritti del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Camerino, con sentenza confermata in appello, ha condannato C.L. per violenza privata e minaccia in danno di D.E..

Secondo la ricostruzione operata dai giudici di merito l'imputato, venuto a diverbio con D. per motivi attinenti alla circolazione stradale, impedì a quest'ultimo di riprendere la marcia, lasciando che il proprio veicolo ostruisse la strada per un apprezzabile lasso di tempo, e lo minacciò di un male ingiusto.

2. Contro la sentenza della Corte d'appello di Ancona ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell'imputato lamentando:

a) una mancanza di motivazione in ordine agli elementi (oggettivo e soggettivo) della violenza privata. Dalla pronuncia impugnata - deduce - non si rinvengono le ragioni per cui si sarebbe realizzata l'ostruzione della sede stradale nè l'intenzionalità dell'ostruzione, protrattasi solo per il tempo del diverbio insorto tra i due automobilisti;

b) la violazione dell'art. 612 c.p. e un vizio di motivazione con riguardo alla prova della responsabilità, per essere stata attribuita valenza delittuosa ad un'espressione innocua, pronunciata senza intenzionalità minatoria;

c) una mancanza di motivazione in ordine alla richiesta applicazione dell'art. 131 bis c.p..

3. Con memoria depositata nella Cancelleria di questa Corte in data 2 marzo 2017 la persona offesa, costituita parte civile, ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, per la gravità della condotta dell'imputato, per la pluralità delle condotte a lui attribuite e per l'inammissibilità degli altri motivi di ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato limitatamente all'ultimo motivo.

1. Il primo motivo è manifestamente infondato. Ai fini della configurabilità del delitto di violenza privata, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l'offeso della libertà di determinazione e di azione.

Pertanto, anche la condotta di chi ostruisca volontariamente la sede stradale per impedire ad altri di manovrare nella stessa realizza l'elemento materiale del reato in questione. Non v'è dubbio, pertanto, che tale realizzazione si sia avuta nel caso di specie, posto che - a quanto si legge in sentenza - C. impedì a D. di riprendere la marcia, dopo l'alterco avuto con lui, e che ciò fece per un apprezzabile lasso di tempo (sette-otto minuti, secondo il teste N.). Sul punto, le deduzioni difensive sono irricevibili, posto che si sostanziano in una diversa e soggettiva lettura delle risultanze istruttorie, a cui questa Corte non può aderire per i noti limiti del giudizio di legittimità.

Sotto il profilo soggettivo, ai fini della configurazione del reato di violenza privata è sufficiente la coscienza e volontà di costringere taluno, con violenza o minaccia, a fare, tollerare od omettere qualcosa, senza che sia necessario il concorso di un fine particolare: il dolo è, pertanto, generico. Ne consegue che il fatto stesso di impedire ad altri automobilisti di transitare sulla strada pubblica, o di riprendere la marcia, integra l'elemento soggettivo del reato in questione. Nella specie, è la ricostruzione stessa dell'occorso, come operata dai giudici di merito, che dà conto della sussistenza del dolo, dal momento che tutta la sentenza è imperniata sulla volontariatà dell'impedimento, frapposto dall'imputato, alla prosecuzione della marcia da parte di D..

2. Ugualmente infondato è il motivo relativo alla minaccia. Secondo ogni logica e per comune esperienza le parole pronunciate dall'imputato all'indirizzo di D. ("tanto sta faccenda non finisce qui, t'aspetto quando finisci de lavorà, cusci te la faccio vedè io, te faccio na faccia come un tamburo") avevano valenza minatoria, posto che contenevano la rappresentazione di un male, la cui verificazione dipendeva dalla volontà dell'agente. Sotto il profilo soggettivo, il dolo è dato dalla coscienza e volontà della condotta, accompagnata dalla consapevolezza di turbare l'altrui tranquillità, senza che abbiano rilievo le motivazioni dell'agire. Il fatto che l'imputato ebbe ad esprimersi nel modo anzidetto "solo per rabbia e stizza" non elide, quindi, l'antigiuridicità della condotta, nè esclude il dolo. Nulla doveva dire, pertanto, il giudice d'appello in ordine alla sussistenza di tale elemento della fattispecie, anch'esso insito nella ricostruzione della vicenda operata da entrambi i giudicanti.

3. E' vero, invece, che la Corte d'appello, investita della richiesta di una pronuncia di proscioglimento ex art. 131 bis c.p. (vedi verbale di udienza del 9/6/2015), ha omesso ogni pronuncia al riguardo. Tale omissione è idonea a determinare l'annullamento della sentenza impugnata, posto che la motivazione risulta completamente omessa su un punto specifico di doglianza, che meritava un approfondimento ex professo. Non è condivisibile, infatti, la tesi della parte civile, secondo cui la continuazione nel reato (a C. sono contestate la violenza privata e la minaccia) esclude l'applicabilità dell'art. 131 bis c.p.. Tale tesi, infatti, sebbene trovi sponda nella giurisprudenza di questa Corte, non può essere seguita nella sua assolutezza, perchè il reato continuato addebitato a C. è, nella specie, sostanzialmente unico, essendo composto di fattispecie poste in essere nelle medesime circostanze di tempo e di luogo e nei confronti della medesima persona, sicchè è rivelatore di una unitaria e circoscritta deliberazione criminosa, incompatibile con l'abitualità presa in considerazione in negativo - dall'art. 131 bis c.p. (in questo senso si è, in fatti, già espressa questa sezione, con sentenza n. 35590 del 31/5/2017). Quanto alla dedotta inammissibilità degli ulteriori motivi di ricorso, essa non è certamente di ostacolo all'accoglimento della doglianza qui presa in considerazione, trattandosi di un punto autonomo della decisione, fondatamente aggredito - per il motivo anzidetto - dal ricorrente. Del tutto inconferente è la giurisprudenza citata dalla parte civile, giacchè la stessa si riferisce a ipotesi in cui il giudizio di merito si era concluso prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28 - che ha introdotto nell'ordinamento la particolare tenuità del fatto - e a casi, quindi, in cui la non punibilità era stata dedotta per la prima volta in Cassazione, e non già all'ipotesi - ricorrente nella specie - in cui la questione era stata posta al giudice d'appello e questi abbia omesso di motivare sul punto. In tale evenienza, infatti, il vizio di motivazione, certamente sussistente, impedisce di dichiarare il ricorso inammissibile.

Gli atti vanno rimessi allo stesso giudice penale, atteso che i due rinvii di udienza, richiesti a questa Corte in data 17/3/2017 e 6/7/2017, ex D.L. n. 189 del 2006 (per complessivi mesi nove e giorni 15) hanno spostato il termine prescrizionale al 13 maggio 2018.

Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese di questa fase di giudizio.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata, limitatamente alla omessa statuizione sulla richiesta di applicazione dell'art. 131 bis c.p. con rinvia per nuovo esame alla Corte d'appello di Perugia; rigetta, nel resto, il ricorso.

Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2018


Avv. Francesco Botta

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